in che consiste il peccato


il peccato
Finora abbiamo trattato delle virtù cristiane, espo-
nendo la natura, l'importanza, l'eccellenza di quelle so-
prattutto sopra cui si imprime tutta la vita cristiana: le
virtù teologali e le virtù cardinali. Ora dobbiamo guar-
dare anche il rovescio della medaglia ed esaminare ciò
che si oppone alla virtù, che anzi la distrugge, la fa
naufragare miseramente, sopprimendo in noi ogni ger-
me di bene e trascinando alla rovina completa l'anima
nostra: i peccati ed i vizi.
Se ricordiamo, le nostre azioni sono sempre
 buone, le virtù; o cattive, i peccati.
Anche quelle  indifferenti assumono una mora-
lità, in pratica, al fine per cui si compiono. Le buone,
le virtù: ora cappiamo le garvi le cattive, i peccati.


Tutti infatti sapete pronuncíare la parola: peccato:
ma molti non ne hanno l'idea giusta. Chiamare forse
peccato ciò che non è tale, e non chiamare peccato ciò
che lo è.
Chiamare peccato veniale quello che è mortale,
e viceversa: moltissimi forse di noi ignorano la
grande malizia che racchiude in sè questo mostro or-
ribile che e' la causa di tutti i nostri mali e di tutte le
nostre rovine.

Ora, siccome ignoriamo su questi punti sostan-
ziali, porta a molte conseguenze. 
Parliamo del peccato in generale:
-IN CHE CONSISTE IL PECCATO,
-IN QUANTI MODI SI PU0' COMMETTERII.

Parlando del peccato, è chiaro che qui non inten-
diamo affatto parlare di quel peccato che si chiama ori-
ginale, cioè di quello che, commesso da Adamo, nostro
primo padre, si propaga per nascita in tutti i suoi di-
scendenti. E' questo, che diede luogo al mistero della no-
stra Redenzione, si trattò già nel secondo articolo del
Credo. Qui trattiamo sempre di quel peccato che si dice
personale, ossia attuale, frutto della nostra malizia e

volontà.
Il Catechismo lo definisce: << Un°offesa fatta a Dio
disubbidendo alla sua legge». Più chiaramente lo con-
cretizzano i teologi: << Un parlare, un fatto o un senti-
mento interno contrario alla legge di Dio». Noi, per
abbracciare tutto diremo: << Un'offesa che l'uomo fa
a Dio trasgredendo coscientemente e volontariamente la
santa sua legge, nei pensieri, nelle parole , nelle opere
e nelle omissioni >>. 

Qui abbiamo tutto ciò che interessa , opere sulla
natura del peccato, cioè: in che consiste, quali sono
i momenti e in quanti modi lo si commette.
Difatti, in capo a tutto, il peccato consiste in una
offesa fatta a Dio colla trasgressione della sua legge.
Non c'è dubbio che l”uomo dipende da Dio sotto
tutti i rapporti. Dio è il nostro creatore, il nostro con-
servatore, il nostro redentore, il nostro santificatore, il
nostro rimuneratore, il nostro supremo e universale pa-
drone. Noi per conseguenza siamo suoi servi, suoi sud-
diti, creature soggette in tutto e per tutto alla sua su-
prema autorita'.
Ora, se Dio è il nostro grande Sovrano, aveva pieno
diritto di manifestare i suoi eterni voleri e di esìgerne
da noi sotto le pene più severe la piena osservanza.
Non ha diritto il padre di comandare ai suoi fi-
gliuoli, il padrone d'imporre la sua volontà ai suoi Servi,
il re di esigere obbedienza dai suoi sudditi?
E Dio ce la manifestò la sua volontà, prima in bar-
lume, mediante la legge di natura, poi più chiaramente
colla legge scritta, e per ultimo in modo più perfetto
per mezzo di Gesù Cristo con la legge evangelica.
Quale è dunque il dovere che tocca a noi?
Ubbedienza, la sottomissione più completa ed
assoluta.

Invece che cosa si fa col peccato?...
Ce lo dice Dio stesso nella Scrittura: << Col pec-
cato l'uom0 spezza il vincolo di ditanza che lo lega
a Dio, scuote da sè il gìogo della divina autorità e in-
nalza il grido (l'indipendenza: io non ti voglio ob-
bedire! ›>.  (Ger II, 20).
Il peccato  dice bene S. Tomaso  è un villano
voltare le spalle a Dio per rivolgersi alla creature. 
E” un mettersi sotto i piedi i comandamenti di Dio, 
un ribellarsi apertamente alla sua volontà, 
uno sbalzare Iddio dal trono del proprio 
cuore per sostituirvi l'idolo di una vile passione.,
di un turpe interesse, di un piacere momentaneo: è in
una parola preferire i propri capricci alla legge santa
del Signore.
Ora, non sarà questo un torto, un°offesa enorme
che si fa a Dio? Non è un°offesa che al marito fa la
moglie quando risponde male a un piacere? Non è un”of-
fesa che fa il servo al padrone tutte le volte che non
si cura di lui?...
E notate che non importa affatto che la trasgres-
-sione offenda uno dei comandamenti diviní o uno dei
comandamenti della Chiesa. Che si obbedisca alla Chiesa
è precetto divino. E' anzi precetto divino che si obbe-
disca alle stesse autorità civili. Dunque, qualunque sia
la legge che si trasgredisce. purchè sia conforme alla
legge eterna di Dio, si turba sempre l'ordine stabilito
da Lui, si calpesta la sua legge, si offende Lui, prin-
cipio di ogni ordine, dl ogni legge, di ogni autorità.
Che male sia l'offesa di Dio lo vedremo in seguito.
Per ora basti sapere in che consiste il peccato.


la trasgressione
Dalla definizione stessa che abbiamo dato risulta
che non ogni trasgressione della legge divina costituisce
peccato, ma solo la trasgressione conoscíuta e delibe-
rata. In altri termini, non basta per far peccato tra-
sgredire la legge, ma occorre trasgredirla coscientemente
o volontariamente; coscientemente,sapendo di trasgre-
dirla; volontariamente, volendo trasgredirla.
I requisiti dunque perchè un'azione sia peccato,
ossia i costitutivi del peccato sono due:la cogni-
zione per parte dell'intelletto e la spontanea,
per parte della volontà.
Se manca o l'uno o l`altro di questi due requisiti.
il peccato non è più peccato, ma un atto puramente
materiale e incolpevole.

Spieghiamocí.
Siccome la nostra volontà, se non è guidata pra-
ticamente dall`inteletto, è affatto cieca nelle sue de-
terminazioni, cosi la prima condizione necessaria per
far peccato è la cognizione del male che si fa, ossia il
conoscere la malizia dell'atto che si compie, la sua op-
posizione alla legge di Dio.
Per mancanza quindi di tale cognizione non sono
capaci di peccato i fanciulli non ancora giunti all'uso
di ragione; quelli che disgraziatamente -si trovano in
uno stato di gravi malattie senza uso di ragione,
ignorano la legge,ossia la malizia dell'atto che fanno, 
purchè si intende, non si tratti di ignoranza voluta 
e colpevole.

Semplifichiamo un poco.
Un bambino di tre anni pronuncia una bestemmia.
Avrà commesso peccato? No, perchè non sa che cosa
dice. Avrà fatto peccato, e peccato gravissimo, chi gliela
ha insegnata: lui no.
 Avrà fatto peccato? No, perchè non è in grado
di capire con la sua intelligenza il male che fa.


la trasgressione
Dalla definizione stessa che abbiamo dato risulta
che non ogni trasgressione della legge divina costituisce
peccato, ma solo la trasgressione conoscíuta e delibe-
rata. In altri termini, non basta per far peccato tra-
sgredire la legge, ma occorre trasgredirla coscientemente
o volontariamente; coscientemente,sapendo di trasgre-
dirla; volontariamente, volendo trasgredirla.
I requisiti dunque perchè un'azione sia peccato,
ossia i costitutivi del peccato sono due:la cogni-
zione per parte dell'intelletto e la spontanea,
per parte della volontà.
Se manca o l'uno o l`altro di questi due requisiti.
il peccato non è più peccato, ma un atto puramente
materiale e incolpevole.

Spieghiamocí.
Siccome la nostra volontà, se non è guidata pra-
ticamente dall`inteletto, è affatto cieca nelle sue de-
terminazioni, cosi la prima condizione necessaria per
far peccato è la cognizione del male che si fa, ossia il
conoscere la malizia dell'atto che si compie, la sua op-
posizione alla legge di Dio.
Per mancanza quindi di tale cognizione non sono
capaci di peccato i fanciulli non ancora giunti all'uso
di ragione; quelli che disgraziatamente -si trovano in
uno stato di gravi malattie senza uso di ragione,
ignorano la legge,ossia la malizia dell'atto che fanno, 
purchè si intende, non si tratti di ignoranza voluta 
e colpevole.

Semplifichiamo un poco.
Un bambino di tre anni pronuncia una bestemmia.
Avrà commesso peccato? No, perchè non sa che cosa
dice. Avrà fatto peccato, e peccato gravissimo, chi gliela
ha insegnata: lui no.
 Avrà fatto peccato? No, perchè non è in grado
di capire con la sua intelligenza il male che fa.

In preda a delirio, bestemmia, sproposita, 
impreca. Farà male? No, se non c°è volontà...
Azioni fatte con inavvertenza e sopra pensiero: lo stesso
di quelle fatte in certi spaventi, in certe ansietà, in certi
pericoli, in certe convulsioni nervose... Ci potrà essere
in tutte questo un più o un meno, ma è certo che la
deliberazione della volontà in essa è  imperfetta, 
e quindi non ci può essere mai peccato, almeno
mortale.
Quale, quanta sia nei singoli nostri atti la parte
che vi prende volta per volta la volontà, solo Dio può
giudicare. Ma noi possiamo dire con tutta certezza che
non è peccato se non si sa di peccare e se non si accon-
sente al peccato con un atto di libera volontà.
«Nessuno ~ dice S. Agostino - si fa servo del
Peccato se non vi acconsente spontaneamente... e si ten-
ga per certissimo non esservi nè potervi essere peccato
che non sia volontario» (De libero arb. 3, 1, 3; Retract. 1, 6),

Qui pero' occorre mettere in chiaro un punto
di morale, che per alcuni è che è incomprensibile,
e che per molti serve a giustificare se stessi.
<< Se il peccato -- si dice - esige la piena avver-
tenza della mente e la piena deliberazione della volontà,
non avrà scusa chi vi è trascinato dalla forza irresi-
stibile di una abitudine contratta e radicata profonda-
mente nell'animo.

Ci sono abitudini che trascinano,  fortemente
alla colpa, ma non escludono affatto la rifflesione, in
modo che chi pecca si áccorge di operare male,e con
tutto questo cede liberamente all°invito. In questi casi
la forza dell'abitudine non toglie la malizia, atto
cattivo, il quale è sempre peccato. Ciò è chiaro.
Ci sono invece abitudini che spingono alla colpa
all°improvviso, per sorpresa, prima che la mente possa
avvertire e la volontà decidere; il che succede special-
mente quando si tratta di cose momentanee, come pa-
role, compiacenze interne, ecc. Ebbene: qui conviene
fare una seconda distinzione, -secondo che questi atti
sono involontari in via assoluta, o se volontari è peccato.


Se noi pentiti dell”abito sporco e risoluti,
mettete in opera i mezzi necessari per estir-
parlo; i peccati che ne vengono estirpati possono essere  in
parte o tutti, secondo le circostanze, involontari, per-
ciò senza colpa. Ma se voi non usate alcuno sforzo per
essere pentiti , gli sbagli provenienti da esso
non sono esenti da colpa; perchè, quantunque non vo-
lontari direttamente, lo sono però indirettamente nella
loro causa, cioè nella  consuetudine da voi contratta
volontariamente e volontariamente mantenuta.
Questa è dottrina indiscussa, che tronca al cre-
dente qualunque pretesto per giustificare le loro colpe.
Del resto, riflettendo un poco, non è vero che in
via generale l'abitudine a fare il male, anzichè dimi-
nuire, accresce la colpa dell°atto`? Non osserviamo
la bilancia del'uomo a chi da di più a chi meno.
Ciò non vuol dire che nelle bilance di Dio, infi-
nitamente giusto e misericordioso, non pesi meno il pec-
cato di fragilità che quello di pura malizia. Ma anche
i peccati di fragilità sono veri peccati, perchè nel più
dei casi abbastanza avvertiti e volontari.

Se il peccato consiste propriamente nel traegredire
la legge santa di Dio, siccome questa legge regola la no-
stra mente, il nostro cuore, la nostra lingua, le nostre
azioni da farsi o da omettersi, in quanti modi si può
peccare: coi pensieri, con le parole, con le opere e con le
omissioni.
Si pecca con i pensieri ogni qual volta con ma-
lizia e con affetto si tiene occupata la mente in cose cat-
tive, anche se non vi sia il desiderio di farle. Se
poi cӏ anche questo desiderio, la malizia del peccato
cresce, e cresce la sua imputabilità.

Peccati di pensiero sono quindi: per parte dell'in-
telletto tutti i dubbi volontari in materia di fede, i so-
spetti e giudizi temerari sul  prossimo, i cattivi mac-
chinamentí e progetti; e per parte della volontà le in-
vidie, gli odi, le avversioni, le compiacenze i desíderi
impuri o ingiusti...
 Si pecca con le parole ogni qualvolta si parla male.
Quindi sono peccati di parole le bestemmie, gli
spergiuri, le inprecazioni, le mormorazioni, le calun-
nie i discorsi contrari alla religione, alla carità, alla
modestia 'e alla purità.

 E questo modo di peccare è forse il più comune,
perchè il più facile: tanto è vero che lo Spirito Santo
dice che << chi non pecca con la lingua è uomo perfetto.
(Giac. III, 2).
Quante conseguenze disastrose, che vengono dai
peccati di lingua! E quanti cristiani nel dì del giudi-
zio saranno costretti a dire: Sarebbe stato meglio per
noi non avere la lingua, perchè non avremmo ora tanti
debiti davanti a Diol...

 Peccati di opera sono i furti, gli omicidi, gli
adulterì., le fornicazioni, le vendette ecc. E non solo le
azioni commesse da noi, ma anche quelle commesse da
altri per nostro impulso, procurate da noi in qulsiasi
modo, per via di seduzione o di comando o di consiglio, 
ovvero, non impedite da noi avendo l'obbligo di impedírle; 
perchè in tutti questi casi le azioni altrui
diventano nostre e ne siamo responsabili come se le
commettessimo noi medesimi.

I peccati di opere sono certo meno frequenti degli
altri, ma sono assai più funesti per le cnseguenze che
recano e che molte volte sono irreparabili.

 Si pecca infine con le omissioni quando tralasciamo 
di fare ciò che si deve fare come cristiani e
quando si trascurano gli obblighi per la nostra fede.
Non fare la Pasqua per es., non sentire la Messa
alla festa, non restituire la roba rubata,rifiutare il sa-
luto al nemico, non perdonare le offese ecc., sono 
tutto colpe di omissione, perchè con esse si omettono 
cose comandate da Dio.
Questi dunque i modi principali con cui si pec-
ca, conoscere le dìverse categorie sotto cui possono 
raggrupparsi tutti i peccati piccoli e grandi, che 
si commettono.


Il peccato mortale

Dopo aver esaminato in che consiste il peccato,
quali sono i suoi costitutivi e in qanti modi si puo
commettere, è necessario che passiamo a studiarne un
po' la malizia intrinseca, considerandola sia in rapporto
a Dio che offende, sia in rapporto all'uomo che lo commette.

Come sapete, non tutti i peccati sono eguali nella
gravità: alcuni si dicono mortali ed altri veniali.

Il peccato mortale è una trasgressioe grave della
legge di Dio; e si dice mortale perchè da' morte all'ani-
ma privandola della grazia santificante in cui riposta
la sua vera vita.

II peccato veniale invece è una trasgressione leg-
gera della legge di Dio; e si dice veniale perchè non
ci priva della grazia di Dio e percio e' più facile otte-
nerne il perdono, anche con altri mezzi fuori del Sa-
cramento della Penitenza.

In pratica discernere quali siano i peccati mortali
e quali veniali non è sempre facile, anzi molte volte è
assai dificile e pericoloso. La regola generica è questa:
quando la materia del peccato è grave, presenta cioe'
una notabile deformità, oppure contiene una notabile
ingiuria a Dio o al prossimo, e vi è il pieno consenso
della volontà e la perfetta avvertenza della mente a cio'
che si fa, allora esso è mortale. E' veniale invece se la
materia è leggera, oppure se, essendo anche grave, so-
no imperfetti l'avvertenza della mente e il consenso
della volontà.

Alcune volte però un peccato di sua natura mor-
tale può cambiare natura e diventare veniale, come
pure in certe circostanze un peccato per sè veniale può
diventare mortale. Il primo caso si avvererebbe qualora
ci fosse la parità di materia in quelle colpe che l'am-
mettono, oppure la cognizione o il consenso fosse im-
perfetto, secondo caso invece si avvera' ogni qual
volta c'entra o la coscienza erronea, o un disprezzo spe-
ciale della legge, o un fine decisamente malvagio, o la
previsione di un effetto gravemente cattivo.

Premesso ciò, veniamo a considerare un po' la ma-
lizia del peccato mortale in rapporto a Dio che offende,
per formarci un'idea adeguata di questo male dell'ani-
ma, che è il più grandde e il più funesto che ci possa
incogliere.

Di fronte a Dio il peccato è:
) UN ATTO DI APERTA RIBELLIONE,
) UN ATTO DI FORMALE DISPREZZO,
) UN ATTO DI MOSTRUOSA INGRATITUDINE.

) UN ATTO DI APERTA RIBELLIONE.

E' certo che Dio, come ha creato tutti gli esseri
che sono al mondo, cosi' è l'unico e assoluto pa-
drone. Come lo scultore è padrone della statua che ha
fatto con le sue mani, come I'artista è padrone del qua-
dro che è frutto del suo genio, come un lavoratore è
padrone dei frutti del suo lavoro; così Dio ha la più
ampia e assoluta padronanza su tutte le cose create e
ne è il supremo Signore. Tutto quindi nell'universo de-
ve obbedire alla sua autorità, sottostare alla sua sovra-
nità, rispettare le leggi sapientissime da Lui stabilite.
E infatti noi constatiamo che le creature tutte che
popolano I'universo, dalle pi grandi alle più piccole,
non fanno che seguire esattamente, matematicamente,
gli ordini imposti da Dio e adempiere con mirabile
precisione la missione da Lui ricevuta.

E” anzi questa obbedienza perfetta delle creature
alle leggi supreme da Dio stabilite che produce l'armo-
nia meraviglíosa dell'universo, che fa dell'universo una
macchina grandiosa che funziona con precisione ammi-
rabile, un orologio perfettissimo che non sbaglia mai
nei suoi movimenti. Guai se così non fosse! Guai se
nel congegno universale del creato le creature devias-
sero di un filo solo dalla linea che Dio ha loro trac-
ciata! Tutto precipiterebbe nel caos!

Alla legge di Dio obhediscono gli astri del firma-
monto con la invariabilità dei loro movimenti di rota-
zione e di rivoluzione; obbediscono gli atomi insensi-
bili, cercandosi._ attraendosi., congiungendosi e formando
lo varie classificazioni dei corpi; obbediscono le piante.,
riproducendosi e sviluppandosi dal piccolo germe che
lavora nelle viscere (lella terra; obbediscono gli ani-
mali,roproducendosi pure e seguendo costantemente i
loro istinti...

<< Tutto le cose, o Signore -- diceva il Profeta -
ti sono sottomesso ed cseguiscono i tuoi ordini >>: 
Cè solamente l'uomo, la creatura più distinta e
beneficata da Dio, che osa rompere questa armonia uni-
versale o in mezzo al concerto unanime delle creature
innalzare il suo grido -sprezzante: << Non ti voglio ser-
vire! >>. 

E quando lo fa?
Quando pecca.
Come alle altre creature, anche all°uomo Dio do-
veva dare ed ha dato una legge: non già una legge fi-
sica come quella imposta agli esseri inanimati ed irra-
gionevolí, ma una legge morale, conveniente a una crea-
tura ragionevole, che rispettasse cioè la sua libertà e lo
rendesse capace di meritare o di non meritare il fine ultimo
per cui fu creato. 




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