il parlare inutile --- la lotta giornaliera

il parlare inutile    

Se c”è nella vita un fatto indiscutibile è que-
sto: parliamo troppo. Non perché mi piacciono le
statue di sale che si esprimono a monosillabi, per-
ché vi sono momenti, circostanze in cui si deve
parlare per scaricarsi di un peso, per allietare una
conversazione, e la vita non deve essere un collo-
quio tra sordomuti. D'altra parte, le ore che sciu-
piamo in chiacchiere inutili, in conversazioni 
inconcludenti.  Si può dire che la lingua delle
persone è l°unica parte del corpo veramente
stanca dopo una intera giornata. 

Qualche volta la si potrebbe paragonare a una
macchina da cucire con il suo fitto e frenetico in-
filzare di punti e di nodi, con la differenza però,
che l'ago lega e congiunge, mentre la lingua strap-
pa, lacera e divide. Se è vero che gran parte del
nostro parlare non serve quasi a niente per la vi-
ta quotidiana, esso è addirittura distruttivo in quel-
la spirituale. Che sia così ce lo dimostrano alcune
battute del Vangelo odierno. Quella donna che
grida il suo entusiasmo, con una frase che pure era
bella come una benedizione, viene bruscamente in-
terrotta dal Signore: «Beati quelli che ascoltano
la parola di Dio e la mettono in pratica ››.
Le parole, le espressioni sentimentali, i sospi-
ri lagrimosi, i gemiti tragici, vengono messi da par-
te a favore di altre misure di fede: saper ascoltare
e mettere in pratica.

Molte volte non sappiamo ascoltare. Siamo co-
sì occupati a parlare di noi, che non abbiamo tem-
po di dare un po' del nostro silenzio agli altri.
Spesso non sappiamo fare nemmeno quel po' di
silenzio intimo che è necessario per parlare con Dio
e per ascoltarlo. Una creatura vale nella misura in
cui sa diventare una piccola isola di silenzio, nel-
la quale i rumori arrivano attutiti, lontani. A pri-
ma vista potrebbe sembrare difficile, ma di fatto
non lo è. Con un po” di buona volontà, si può es-
sere creature silenziose anche tra la folla di un
tram, anche tra il picchiettio frenetico delle mac-
chine da scrivere, anche nel traffico delle grandi
città. E' bello immaginare che nel chiasso più as-
sordante, nel lavoro più intenso ci siano delle crea-
ture che portano dentro di sé quelle isole invisibi-
li sulle quali la voce di Dio può cadere a ogni mo-
mento chiara, suadente, consolatrice.
Forse di queste creature ne esistono tante: ci
passano accanto, siedono o lavorano accanto a noi,
apparentemente uguali, ma ricche di una insospet-
tata. vita spirituale. Dove il chiasso disperde, il si-
lenzio raccoglie; dove la lingua riposa, lo spirito
parla. Non ci sono altre alternative: per capire
noi stessi, per ascoltare Dio, bisogna imparare a
tacere.

Ma c'è qualcosa di più: la vita spirituale è es-
senzialmente un personale e impegnato dialogo
con Dio. Ma come può la vita diventare dialogo,
se l°unico interlocutore siamo noi stessi, con i no-
stri fiumi di parole, le chiacchiere senza fine e la
superficialità che non scende mai al fondo delle
cose?
Quando si è giovani e si vuole parlare, espri-
mersi a ogni costo, il silenzio può sembrare una
condanna della vecchiaia. Il silenzio invece non è
una condanna, ma una scelta: una scelta e una vit-
toria su noi stessi, una vittoria di ciò che conta su
ciò che passa e non dura.
 
 la lotta giornaliera
Molti pensano che il cristianesimo sia un sonnife-
ro, mentre è esattamente il contrario: nel cristia-
nesimo, la lotta è giornaliera e necessaria. E' così
che alla tenerezza del Natale succede la profezia
di Simeone, e all'augurio di pace per gli uomini di
buona volontà, la minaccia della spada. Neppure
Gesù e sua madre sfuggirono a questa inderogabi-
le legge dello spirito, che esige il prezzo da ogni
cosa che vale. La nostra salvezza avvenne con la
morte, mentre la maternità dello spirito ci fu data
attraverso il sacrificio più duro della maternità se-
condo la carne. Dovremmo ripensare a queste co-
se che forse sappiamo a memoria, ma che, per es-
sere diventate abituali, hanno perso ai nostri occhi
l'esemplare significato che dovrebbero avere anche
per noi.

Questo si verifica non soltanto nel campo ma-
teriale, ma soprattutto nel campo dello spirito e,
poiché i due campi sono inseparabili, si può par-
lare di una misteriosa bilancia sulla quale ora lo
spirito paga per il corpo, ora il corpo per lo spiri-
to; una bilancia che non sta mai ferma, come se in
quel movimento pendolare fosse nascosto l'intero
significato spirituale della vita. Certo è che il Si-
gnore non ci lascia mai in pace e talvolta pare che
si diverta ad agitare e tormentare il nostro piccolo
mondo, quasi temesse che, non facendo così, noi
diventiamo acque stagnanti, senza personalità e
senza freschezza. Ci da le sue grazie, ma a un cer-
to momento sembra che voglia togliercele perché
ciascuno se le riconquisti da sé. Ci da la luce del-
la fede e poi ci soffia sopra lasciandoci nel buio,
perché impariamo che la fede diventa veramente
nostra attaverso la tentazione e la prova. Non si
può davvero dormire sui doni di Dio, ed è un be-
ne che sia così. Se non ci fossero una << contraddi-
zione ››, un « mestolo forato ››, una << spada ›> pronti a
rovesciare, mettere in pericolo le nostre facili pro-
spettive, tutto sarebbe troppo gratuito e tanto po-
co personale da non potersi chiamare nostro. Sen-
za la tentazione e la prova, il nostro credere sareb-
be superficiale, mentre, riconquistato da noi, sele-
zionato dalla nostra quotidiana pazienza, esso acqui-
sta il fermo splendore che è necessario per scopri-
re e vivere il disegno di Dio nella vita.

Vi confesso che non posso capire cristiani che
parlano della fede in termini lirici o addirittura
semplici. In genere, si tratta di gente che non ha
maturato la propria fede, la quale è rimasta qual-
cosa di astratto che mai riuscirà a costruire una
vera personalità. Quando la fede ci investe in pie-
no e diventa responsabile riflesso di tutta la vita,
allora essa è bella ma difficile, consolante ma dura,
è una conquista passata attraverso una scelta che
lascia il segno nella nostra vita. Può .capitare a
quindici anni, a venti o a quaranta. Ma certamen-
te arriva il momento in cui le nostre convinzioni,
anche le più profonde, passano attraverso una
strozzatura. Ciò che crediamo è certezza o favola?
Le nostre preghiere arrivano a qualcuno sopra di
noi o si perdono nell'aria? Che senso hanno i miei
sacrifici, le convinzioni religiose, le mie speranze
invisibili, di fronte alla dura realtà che sembra
smentirle ogni giorno? Vale la pena lottare per
qualcosa che potrebbe essere un sogno? Esiste dav-
vero un disegno di Dio, oppure la vita è quello
che è, una sporca avventura nella quale i deboli
si affìdano alla speranza di Dio e i forti alle risor-
se del proprio coraggio? Vale la pena puntare tut-
to su qualcosa che sfugge alla misura umana? E
se tutto fosse soltanto una bella illusione?

E' questo il « segno di contraddizione ›> di cui
parla il Vangelo . La fede è la risposta a
tutti gli interrogativi umani, ma spesso quella ri-
sposta si oscura di fronte ai problemi e alla real-
tà della vita. E' il momento della prova, della spa-
da, del cielo spento. E' la notte, la notte, di Pie-
tro, la notte di Maria nel Vangelo , la not-
te di tutti, una notte che pesa dentro anche quan-
do le labbra sorridono e sulle cose splende allegra
e viva la luce del giorno. E” un momento che pre-
sto o tardi arriva per tutti, anche per quelli che
pensano di avere una fede << definitiva ››. Nessuna
fede è definitiva. Ma è bello e profondamente de-
gno dell'uomo, riconquistare ogni volta la giusta
prospettiva di Dio, anche se le cose cambiano in-
torno a noi e i nostri problemi sono ogni giorno
diversi, e una fede riconquistata.





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