Tra le palme

Niente come il sangue
tra le palme ci aiuta a capire il problema sempre difficile del dolore. Gesù che muore senza colpa, mentre attorno a lui si crea un cerchio di solitudine, è la più limpida ed esauriente risposta al perché del dolore. Egli lo ha accettato sino in fondo, ha affrontato la sua passione senza surrogati, senza domande, senza recriminazioni, e  l'ha trasformata in una offerta perenne per la salvezza dell'uomo. E' la croce che diventa altare. Il senso del dolore è tutto qui, il senso della sofferenza non si scopre con belle parole, con discorsi difficili, ma semplicemente accettandola con la eroica semplicità dell'amore. Lo so che non è facile, ma non ci sono scorciatoie. Soltanto quando lo accettiamo con la forza della fede, il dolore diventa una ricchezza morale per noi e per gli altri. E non ci sono altari piccoli e altari grandi. Ogni problema, ogni preoccupazione, ogni solitudine può diventare un altare invisibile sul quale qualcosa si distrugge, e qualcosa si crea, un valore terreno si spezza, ma ne nasce uno eterno. Io credo profondamente che, senza la sofferenza e senza l'accettazione della sofferenza, la nostra vita non potrebbe avere  quella ampiezza di significato che essa ha agli occhi di Dio, e che ci perderemmo nel labirinto delle nostre piccole cose quotidiane se il dolore non schiarisse ogni tanto l'orizzonte delle cose che contano. Quando un problema ci preoccupa, quando il futuro ci assilla, quando ci colpisce il dolore, quando la solitudine ingigantisce  le cose, quando c'è sangue tra gli olivi, è allora che il nostro collegamento con Cristo è più vivo e ampio, più personale e fecondo. E' soltanto allora che possiamo fare a meno delle parole e trasformare le cose in un maturante silenzio d'amore.
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